God – Biennale di Venezia

ROBERTO MINIATI – GOD Roberto Miniati instrada una ricerca in continua evoluzione, espressa con coerenza, meditata interiormente e mai programmata, intrisa di ricercatezze tecniche e formali limpidamente peculiari. L’artista nasce a Roma da una famiglia di origini fiorentine. Conseguito il diploma, si iscrive alla Facoltà di Psicologia, al tempo stesso segue corsi di formazione presso accademie private dove apprende i primi rudimenti della tecnica e del colore. Successivamente diviene collezionista e congiuntamente implementa la volontà di dipingere. Sin dagli esordi la produzione si snoda nella correlazione tra influenze del passato ed espressioni artistiche soggettive. I riverberi di storici movimenti sono il punto di partenza per l’originarsi di una cifra stilistica esclusiva elaborata tramite il caparbio impiego del colore, del segno e della gestualità. La produzione risente dell’eco del Costruttivismo russo, delle composizioni geometrico-astratte e costellate di interazioni coloristiche di Max Bill, dei disegni geometrici di Josef Albers che esplorano in maniera sistematica gli effetti della percezione, non meno che del modus operandi di Jackson Pollock laddove la gestualità inconscia di Miniati origina linee e forme che si librano sul supporto pittorico. Appartiene alla storia personale del Nostro anche la suggestione derivante da Lucio Fontana, l’influenza di Giuseppe Capogrossi, il fascino di Piero Dorazio, il magnetismo di Emilio Vedova. Per Miniati, artefice attento e sensibile, “noi viviamo e lavoriamo sulla storia che ci ha preceduto e che è sotto di noi”. Tuttavia sarebbe un errore considerare la produzione del Nostro esclusivamente come una pedissequa ripetizione dell’arte esistita, le sollecitazioni si riversano talora in stati d’animo coloristici talaltra in vere e proprie opere-omaggio (“Tribute to Mirò” e “Tribute to Mondrian”) nelle quali, tuttavia, opponendosi alle severe regole della astrazione, la materia deborda i limiti della superficie grazie al gesto liberatorio dell’artista. Nella trama pittorica di Miniati l’attenta ricerca di equilibri tra forme, colori e strutture compositive si stempera in una poetica intrisa di riflessioni esistenziali nella quale convergono intenti e sensibilità del tutto personali. L’artista rivendica un rapporto intimo con la pittura che definisce una vera e propria “forza vitale”. La valenza cromatica delle composizioni di Miniati gioca un ruolo chiave, i colori – azzurri, viola, ocra, grigi, bianchi, magenta – sono indagati nelle loro singole modalità di espressione e si snodano in propensioni ora opache ora lucide, tenui o forti. I tasselli cromatici, preservando l’intrinseca purezza e l’immediata forza naturale, coesistono in assoluta libertà, distruggendo la fredda astrazione geometrica della composizione. Il cromatismo, indagato secondo inclinazioni e sensibilità ogni qual volta differenti, preserva altresì una valenza psicoanalitica laddove esso indica la strada che conduce all’inconscio. Difatti a parer del Nostro, sarebbe proprio la presenza tangibile del mistero e dell’ignoto a consentire la rivelazione delle parti
segrete dell’essenza umana. Nonostante l’importanza rivestita dall’irrazionalità Miniati non è ascrivibile in una corrente surrealista, piuttosto nella sua produzione le forme si conformano allo spirito così che l’evocazione creativa si genera da un ordine “ideale”. La pittura diviene strumento di liberazione e preservando l’intrinseca forza straordinaria è in grado di evocare quell’immaginario nascosto e impensabile che la coscienza ordinaria non accetta di contemplare. L’accurata e innovativa produzione gli è valsa la partecipazione a prestigiose kermesse internazionali, a conferma della risonanza mondiale della sua pittura: Esposizione Triennale di Arti Visive a Roma (edizioni 2014 e 2017); La Biennale di Venezia (edizioni 56. e 57. presso il Padiglione del Guatemala). In occasione della 58. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia, Miniati è chiamato a rappresentare il tema del Padiglione del Grenada con l’opera “God”. Una base in dibond sagomato, un supporto in metallo dorato, un recipiente, pittura acrilica, tempera vinilica e spezie eterogenee amalgamate al colore, sono gli elementi costitutivi di questo trittico multisensoriale. L’attivazione delle componenti percettive è lo strumento prescelto per operare una rivisitazione della memoria epica del paese caraibico. I sensi per Miniati “hanno accompagnato l’uomo nella sua storia e nella storia del mondo”. Parimenti essi sono determinanti nella costruzione della memoria antropica in quanto “ci collegano a ricordi lontani, a qualcosa che non conosciamo, non vissuto ma intuito, eterno come il rumore del mare, del vento che soffia, del sole che scalda, del freddo, delle albe e dei tramonti, del profumo della natura”. Dio, artefice della creazione e delle bellezze naturali, ha permesso all’uomo, grazie alle qualità sensoriali, di custodire 49 l’anamnesi del mondo. Nell’opera di Miniati le spezie vengono ad essere mescolate assieme al pigmento e in fase successiva trovano stesura sul supporto pittorico. La vista del fruitore è stimolata dalla gamma coloristica della composizione, mentre il tatto è incalzato dalla possibilità di immergere le mani nel recipiente – posto accanto all’opera– così da far scivolare le sostanze aromatiche tra le dita. Ma è l’olfatto il senso che trova maggiore impiego in quanto esso viene ad essere sollecitato dalla necessità di captare i variegati profumi emanati dalla composizione. Di fianco al lavoro trova posto una scritta, un monito, una riflessione dell’artista stesso che invita lo spettatore a chiudere gli occhi dinanzi alla composizione e ad affidarsi alle proprie capacità sensoriali così da essere condotto nei meandri della memoria: “Possiamo chiudere gli occhi davanti a tutto, davanti all’orrore, davanti alla bellezza, tapparci le orecchie ad un suono ammaliante, a discorsi seducenti, ma non possiamo sottrarci all’odore, al profumo. Ed ora chiudete gli occhi, immergete le dita nel recipiente di spezie e affidatevi all’olfatto: che profumo ha la vostra memoria?”.

Daniele Radini Tedeschi