Esigenze

Roberto Miniati: una sintesi armoniosa tra rigore strutturale ed evasione lirica

Con le prime “Esigenze” del 2004 Miniati documentava la volontà di dare corpo ad un’esigenza interiore, di promuovere, attraverso la pittura, “un’azione – avrebbe poi detto – necessaria e vitale”.
Era in definitiva un tentativo, riuscito, di far convergere le forme organiche dell’astrattismo lirico con i modelli ponderati di quello geometrico. Soluzione che l’artista adotterà da lì in avanti con sempre maggiore convinzione e necessaria sensibilità, bilanciando gli effetti delle due spinte: quella tendenzialmente periferica, priva di forze coagulanti e di natura semplicemente informale con quella aggregante, tendente al centro, perciò geometrica.
A quel tempo era forte in lui la necessità di approfondire e studiare il comportamento del colore, di osservare accuratamente le sue singole modalità di espressione, di cogliere le corrispondenze tra colori primari e secondari, tra toni caldi e freddi.
Miniati ha intuito che lo sviluppo e l’accostamento di forme disomogenee avrebbe potuto accogliere ed incrementare una pressoché infinita variazione di toni, di rapporti e di forme. Di fronte a un orizzonte così ampio e invitante, egli sperimentò ogni esercizio che variasse la compagine dei colori, alla ricerca di equilibri sempre più efficaci e durevoli.
Dal 2004 al 2006 ha perciò intrapreso una serie di studi sul colore tali da preparare un terreno solido sul quale, in un secondo momento, liberare ogni propensione creativa.
Alcune delle tavole cromatiche, dal rigore geometrizzante e tendente alla forma di un prisma, si avvicinavano agli studi elaborati dalle diverse “teorie del colore”, oppure alla serie delle “Compenetrazioni iridescenti” di Balla, nelle quali i colori, come schegge luminose, trapassano l’uno nell’altro, con un effetto dinamico e coinvolgente. In altri casi, invece, la ricerca si spingeva sino ad una ricognizione essenziale del non colore come nel caso dei “Monocromi neri”, dove alla pienezza del pigmento, al massimo suo riempimento, si contrappone l’instabilità della superficie pittorica, capace di generare sottili striature orizzontali.
Tuttavia è al colore puro, all’intensità e alla sua forza che Miniati ritorna, quasi volesse – come ci riferisce – “esorcizzare le paure della vita”. Il colore viene quindi mostrato in una successione di fasce, ravvicinate e delimitate da verticali linee bianche – come nel ciclo “Pioggia miracolosa”– oppure disposte in parallelo, in un accumularsi spontaneo. In questa fase l’artista romano conduce da una parte un’attenta osservazione del dato fenomenico e percettivo, scomponendo in singoli elementi prismatici l’ipotetico “dna” del colore, dall’altra addensa la materia, il pigmento puro, in contenitori trasparenti e sottili, tali da mantenere per un lungo periodo la sua viscosità e la sua mollezza. Sono due aspetti complementari della ricerca cromatica, uno relativo al versante dell’“analisi chimica”, della scissione e della rifrazione del colore e della luce, l’altro aperto invece verso un campo d’indagine che non è più e soltanto quello scientifico, deduttivo, ma significativamente correlato ad una logica accidentale, dato che il processo di solidificazione del pigmento e la conseguente trasformazione della sua forma, rende imprevedibile l’evolversi complessivo della struttura.
Si polarizzano, anche in questa dualità di intenti, le due anime della processualità artistica di Miniati: l’una volta a contenere entro spazi risoluti il colore, l’altra aperta verso una imponderabile e quasi casuale evoluzione della forma.
Modalità espressive, l’una assieme all’altra e mai separate che ritroviamo espresse anche nei lavori più recenti. Quadri che concedono al colore di assumere variabili estensioni, in una disposizione modulare della forma libera da soluzioni di impronta razionalista. Essa, infatti, viene sagomata a modello della tarsia, con morbidi sconfinamenti dalla regolarità geometrica in una dinamica consequenziale estremamente lirica. L’impressione è quella di un organismo, variabilmente composto, che si organizza, e si dispone sulla superficie autoregolamentandosi; come se il colore trovasse da solo la forma entro la quale adattarsi.
Diversamente dal criterio dell’astrattismo geometrico, in cui il disegno conchiude il colore, dove la linea compartimenta ogni possibile soluzione di continuità, le superfici sagomate di Miniati si modellano le une con le altre, in un armonico altalenarsi di forme concave e convesse, di pieni e di vuoti, di colori caldi e di colori freddi, costituendo, pur senza l’incisività del segno che ne circoscriva il modello, un tessuto variopinto alla maniera del cloissonisme.
Ecco allora emergere le forme di un pensiero dinamico e plastico, su cui preme non tanto l’analisi costruttivista, fredda e composta dell’astrazione geometrica, quanto piuttosto l’analisi caleidoscopica di una realtà interiore che trova un generale riscontro nella componente astratta più lirica e spirituale del nostro tempo.
Michele Beraldo